..oppure “cosa pensavano gli astronauti quando sorvolavano il lato oscuro della Luna?”
Questo post da #vitadadottoranda in realtà esula solo in parte dagli obiettivi di questo blog, ma ho deciso di rispondere alla domanda, che faccio in realtà più a me stessa: cosa si fa a meta del II anno quando si va in vacanza?
Premesso che ho già promesso che verrà dedicato il giusto spazio alla rubrica diari di viaggio, da inaugurare con un classico decalogo del viaggiatore come sopravvivenza soprattutto a Trenitalia e alle Ferrovie dello Stato (italiano?). Assodato che al mio rientro nella Selva Turrita non mancherà qualche consiglio pratico di gestione di una regolare attività fisica in piscina nei mesi invernali con tanto di indicazioni sulla manutenzione dei capelli lunghi, questa volta ho deciso di voler spendere due parole su come può cambiare la tua vita quando non hai internet. Cosa che inoltre, in questo momento, mi rende impossibile fare una stima di quando questo post verrà pubblicato.
Tralasciando la disintossicazione forzata da ogni strumento sociale, Facebook o Instagram che sia, con foto di manicaretti locali e tramonti pastello che vengono pubblicati con giorni di ritardo, tutti assieme, cosa che ti setta sul fuso orario polare nei mesi estivi in un perenne crepuscolo e probabilmente con un menù a 20 portate degno di un banchetto nuziale. Sono giorni che devo dire mi godo il fatto di non sapere i miei amici e parenti cosa fanno e non far sapere loro nemmeno cosa faccio io. In quei pochi minuti di barlume di pallette e 4G corro ai ripari con morigeratezza, ma devo dire che delle due preferisco approfittare di qualche errore e interferenza delle antenne per fare una telefonata e riscoprire il valore della parola.
Anche se questo regime sta mettendo a dura prova la mia tabella di marcia e io, che bella come il sol leone speravo di dedicarmi ad una veloce consultazione di archivi online per tenermi in pari nel mio largo anticipo, mi trovo a dover ciclicamente fare macumbe con il wifi per casa cercando di individuare la finestra prescelta per uno scatto di tacche mentre la scritta “internet non disponibile” lampeggia sul pc, che non è nemmeno il mio, con la stessa aria nostalgica delle vecchie insegne dei motel. Pensavo questa sera di provare con un falò propiziatorio alimentato a sale e scirocco o interpellare qualche fattucchiera locale per vedere se qualche santo o qualche profano mi assiste.
E poi penso al povero Michael Collins, che per le 21 ore e mezzo che i due compagni dell’Apollo 11 hanno trascorso sulla Luna, è stato difatti l’uomo più solo dell’universo. Penso al fatto che ogni volta che sorvolava il lato nascosto del satellite, il così detto dark side of the moon, aveva 40 minuti di silenzio totale, oserei dire assoluto e mi rendo conto che la mia rigida tabella di marcia può sicuramente aspettare.
Pronta a chiudere il pc per respirare l’aria (cit.) di mare sul balcone, mentre una falce di Luna crescente mi guarda da sud-ovest mi chiedo con il naso all’insù:
che suono aveva il silenzio per Michael Collins mentre sorvolava il lato oscuro della Luna?